La resistenza delle donne
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Uno dei serbatoi più significativi di ribellione femminile sopravvive al fascismo nelle risaie della bassa padana. Se ben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo […] abbiano delle belle buone lingue e ben ci difendiamo Il canto La lega (sottinteso: delle lavoratrici socialista) nasce in val Padana tra il 1890 e il 1914 e ben presto diventa un classico del repertorio delle mondine. Segna una rottura netta rispetto ai precedenti canti di filanda e di risaia, che si limitavano alla lamentazione o alla denuncia delle condizioni di lavoro assai dure e dei magri compensi, ma sempre in tono alquanto modesto. In un notissimo canto coevo, rivolgendosi allo “sciur padrun da li beli braghi bianchi”, mentre domandano di essere pagate le mondine gli chiedono addirittura scusa, “sa l’em fa tribuler”. Con La lega i cambia registro: “voialtri signoroni che c’avete tanto orgoglio | abbassate la superbia e aprite il portafoglio”, cantano, fiere e consapevoli di quanto spetta loro. Un bel cambiamento, no? Era il 1890, ma non farebbe male trasmetterlo con gli altoparlanti negli spettrali magazzini-cattedrale della logistica globale di oggi, nei soffocati laboratori dei subappalto, tra le cassiere e le centraliniste precarie che non possono alzarsi nemmeno per far pipì – e ringrazia pure, che se ti lamenti c’è la fila per sostituirti. Nessuna aveva mai osato dichiarare ” paura non abbiamo”, né tanto meno affermare che i “crumiri col padrone son tutti da ammazzar”. Certo, per essere legittimate, accettate e accettabili, le lavoratrici lottano per amore dei figli, non per se stesse: l’ educazione delle donne di ogni classe sociale era improntata senza scampo al paradigma materno e oblativo – ed era ancora così al tempo della Resistenza. Ma, finalmente, lottano e rivendicano di avere una voce e personalità da vendere.
Valutazione ⭐⭐⭐⭐